Ciao Paolo, sappiamo che il 23 novembre hai combattuto a Tokyo, ma prima vorremmo farti alcune domande per permettere al nostro pubblico di conoscerti meglio… come e in quale modo ti sei avvicinato agli sport da combattimento e alle MMA?
Iniziai a praticare la lotta submission circa 7 anni fa dopo averla scoperta durante un viaggio in America. All’inizio mi allenavo solo una volta la settimana visto che il mio obiettivo principale era la difesa personale, gli altri giorni praticavo Ju-Jitsu tradizionale. In più, a dire la verità, anche se mi innamorai praticamente subito della lotta ero un pò intimidito dai fighters che vedevo in palestra. Tutto questo però cambiò (o iniziò a cambiare) quando durante una chiaccherata a fine allenamento un tizio mi chiese se conoscevo una buona palestra di Muay Thai nelle vicinanze. Gli chiesi se aveva intenzione di combattere e lui rispose che lo stava considerando. Io rimasi stupito, questo tizio aveva 40 anni! E se lui a 40 anni aveva coraggio di salire sul ring contro uno di quei mostri (i fighters) perche non avrei dovuto provarci anch’io?
Allora iniziai ad allenarmi più seriamente e in quel periodo a causa di una discordia con il mio maestro di Ju-Jitsu lasciai la sua palestra per dedicarmi completamente alle MMA e da li a pochi mesi partecipai al mio primo torneo amatoriale.
Quale ritieni sia il tuo “punto di forza” come fighter?
Non ho una specialità vera e propria. Il mio punto di forza, se lo si può chiamare così, è che sono a mio agio in qualsiasi situazione. Lavoro continuamente per migliorare in tutte le aree e adatto il mio stile in base al piano che decido di usare in un determinato combattimento.
Dopo aver combattuto in alcuni eventi inglesi, sei andato a combattere in Giappone nella Shooto.. raccontaci in che modo sei stato contattato dai promoters giapponesi e la tua esperienza di allenamento e vita quotidiana nel paese del sol levante.
Beh, dopo qualche anno in Inghilterra mi ero un pò stufato della vita che facevo.
Dato che avevo scelto di dedicarmi totalmente allo sport, volevo vivere in un paese che avesse una cultura delle MMA un pò più sviluppata. Al tempo le scelte erano 3: il Giappone, il Brasile o gli Stati Uniti. La mia futura moglie era giapponese, quindi…
Una volta arrivato qui ebbi la fortuna di capitare nella palestra gestita dal match-maker dello Shooto ed avendo combattuto nel Cage Rage ebbi l’opportunità di combattere come professionista sin dall’inizio. Questo era per me un vantaggio enorme perchè è molto difficile passare dagli amatori ai professionisti nello Shooto. A dire la verità, non credo che fossi pronto ai tempi e me ne accorsi quando andai a guardare l’All Japan Amateur-Shooto Tournament e vidi l’altissimo livello di certi fighters che ancora non riuscivano a farsi promuovere pro-shooter. Però ormai ero qui e tutto ciò che mi rimaneva da fare era continuare a dedicarmi alle MMA al 100%.
Certo le cose qui in Giappone non sono facili. Tanto per cominciare dopo 3 anni il mio giapponese fa ancora pena, per cui comunicare anche solo con i miei compagni di squadra può essere difficile, inoltre ho ben poche vacanze ed occasioni di fare festa.
Tra lavoro, allenamenti e passare un pò di tempo con mia moglie non mi rimane un minuto libero.
Però non mi lamento, ho l’opportunità di fare esattamente ciò che voglio ed a modo mio mi godo ogni minuto della mia vita.
Nel tuo team si allena Shinya Aoki, hai qualche interessante aneddoto da raccontarci su questo grande campione?
A dire la verità non ho molto da raccontare su Aoki, non parliamo molto e non lo conosco fuori dalla palestra.
Ti posso dire però che in palestra non si ferma un attimo. Arriva, mette i suoi collant osceni (non tanto osceni come quelli che
usa sul ring ma sempre osceni) ed appena il timer suona inizia a lottare e non smette fino alla fine della sessione. Certe volte ho provato a stargli dietro ma se faccio 45-50 minuti di lotta senza fermarmi il giorno dopo sono mezzo morto, mentre Aoki invece ritorna in palestra e fa tutto di nuovo. E questo senza contare le corse, i pesi e tutto il resto che fa quando non ci sono altri a guardarlo.
Ti è capitato di allenarti con altri fighters che ti hanno particolarmente impressionato per lo striking, grappling o per qualche altro aspetto del combattimento?
Beh, qui in Giappone: Satoru Kiaoka, Eiji Mitsuoka, Caol Uno, Hayato Sakurai, Boku Kotetsu, Antonio Carvallho… e questi sono solo alcuni.
Tutti atleti eccezionali per un motivo o per l`altro.
In Inghilterra mi sono allenato con Kamal Shalorous (che ha debuttato nella WEC ultimamente) e Marius Zaromskis e questi due erano veramente eccezionali. Un altro era Ze Marcelo del BTT UK.
Forse quello che mi ha impressionato di più è Kamal sia per le sue incredibili capacità fisiche che per la sua conoscenza della lotta libera. Secondo Sakurai, anche lui estremamente potente per il suo peso e con un’ottima tecnica di lotta a terra.
Anche se la situazione delle MMA nel nostro paese sta migliorando, se paragoniamo l’Italia al Giappone si può tranquillamente dire che la realtà dove vivi adesso sia proprio “un altro mondo”.
Come sono percepite le MMA e in generale gli sport da combattimento dalla gente comune?
Non conosco la situazione attuale in Italia, ma in Inghilterra lo stereotipo è che i fighters siano dei personaggi antisociali, violenti ed in generale dei poco di buono. Non ricordo nemmeno più le stupidaggini che mi venivano chieste quando andavo a lavorare la mattina con un’occhio nero e le cose che chiedevano a mia moglie meritavano che io prendessi qualcuno a sberle; se non che questo gli avrebbe dato la soddisfazione che cercavano ed io non avevo proprio intenzione di dare soddisfazioni a gente che consideravo dei completi idioti.
Qui invece gli sport da combattimento, o il “kaktoghi” come lo chiamano in giapponese, sono molto più accettati. Nella cultura giapponese le arti marziali sono associate con forza di volontà, determinazione e disponibiltà di fare sacrifici e queste sono virtù per cui i giapponesi hanno molto rispetto.
Più di un barbiere qui ha riconosciuto le mie orecchie a cavolfiore (che sono molto comuni visto che molti praticano il Judo) e quando dico a qualcuno che faccio MMA la risposta è di solito un “sugoi!”, che vuol dire una sorpresa piacevole.
Inoltre in palestra non si trovano i perditempo e finti duri che si trovavano a Londra; molti vengono ad allenarsi per hobby o per vedere i fighters e fare due chiacchere, ma anche questi hanno rispetto per il tipo di impegno che ci vuole per combattere veramente.
L`unica cosa negativa forse è che le opportunità di combattimento sono un pò più limitate. La maggior parte degli eventi sono a Tokyo ed è difficile combattere per diverse organizzazioni mentre un fighter in Italia può facilmente combattere ovunque in Europa.
Segui un alimentazione particolare per rimanere in forma tra un match e l’altro?
Nelle MMA americane il weight cutting estremo è sempre più diffuso, anche in Giappone si va verso quella direzione?
Nulla di troppo complicato, di solito evito cibi fritti, alcohol, dolci e cerco di aggiungere frutta e verdura ovunque possibile.
Un’altra cosa che forse per noi in Italia è ancora normale (certo non lo è in America o in Inghilterra) è che cucino la maggior parte dei miei pasti a casa. Dopo aver lavorato in qualche ristorante ho capito che l’unico modo di esser sicuro della qualità del cibo che uno mangia è di prepararselo da se.
A parte questo non seguo nessuna regola particolare, anche nei supplementi mi limito alle cose più semplici: creatina, glutammina, glucosammina e vitamine.
Per quanto riguarda l’attitudine verso il weight cutting le cose stanno cambiando, infatti quando arrivai in Giappone questo era un concetto alieno. Se uno doveva combattere a 76kg si metteva a dieta per un mese e faceva di tutto per raggiungere quel peso e quando saliva sul ring era praticamente 76kg. Aoki, Kitaoka e Kanehara per esempio combattevano tutti pressochè al loro peso naturale. Ora le cose sono diverse e la maggior parte dei fighters tagliano ad una categoria di peso inferiore.
Non siamo ancora a livelli americani ma bisogna anche considerare che la maggior parte dei fighters giapponesi combattono sotto i 76kg e a questi pesi perdere più di 4-5kg all`ultimo minuto non è certo ideale. Ho visto alcuni farlo ma il giorno dopo non erano certo in forma.
Durante l’evento “Shooto – Revolutionary Exchanges 3”, svoltosi a Tokyo il 23 novembre, hai affrontato il veterano ex PRIDE Daisuke “Amazon” Sugie, parlaci un pò del tuo incontro.
Beh, purtroppo ho perso ai punti ma questa è stata comunque un’esperienza molto utile.
Non avendo mai combattuto un fighter di questo livello non avevo idea di quanta forza uno potesse avere a 70kg.
Amazon era veramente impressionante, al punto che una volta a terra non riuscivo praticamente a muovermi.
Sono comunque sopravvissuto fino alla fine e qualche giorno dopo ero di nuovo in palestra con un rinnovato senso di determinazione.
Non mi sento molto male ad aver perso, a differenza di alcuni combattimenti del mio passato, questa volta mi sento di aver veramente dato il 100% e questo semplicemente non è stato sufficiente.
Ma questo non vuol dire che io mi sia arreso, anzi ora che conosco i miei limiti mi sto dando da fare come un dannato per superarli.
Si sa già quando ti rivedremo combattere?
Ancora non so. Purtroppo al momento ho un infortunio che limita leggermente la quantità e qualità di allenamenti che posso fare.
Combatterò una volta che sono guarito completamente, spero a febbraio o marzo al più tardi.
Grazie mille per la tua disponibilità Paolo, ci risentiremo sicuramente in futuro per avere altre notizie sulla tua ottima carriera. In bocca al lupo per tutto!
Non c’è problema, anzi grazie a voi e crepi il lupo!