Cerco vecchio articolo su Evan Tanner

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tarriconeWHC
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05/07/2013, 9:56

ciao ragazzi, non so se potete aiutarmi... avrei una richiesta particolare.
anni fa prima della morte di evan tanner, sul vecchio forum "puroresu".... venne riportato un articolo.... diciamo il blog/diario di evan tanner, il racconto del suo ritorno nelle mma, la lotta contro la dipendenza dell'alcool ecc ecc..
oggi non so perche dopo tanti anni mi è tornato in mente... e avrei vogliadi rileggerlo.... era un racconto davvero molto particolare e toccante... ho provato in tutti i modi a fare uan ricerca su internet. ma non sono riuscito a trovare nulla.
qualcuno magari dei piu vecchi frequentatori se lo ricorderà... e magari è in grado di aiutarmi
graciassssss
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Wesley Sneijder 88
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05/07/2013, 11:15

quello di hoodlum? se è quello era una bella rubrica mi piacerebbe anche a me rileggerla
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tarriconeWHC
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05/07/2013, 15:43

Wesley Sneijder 88 ha scritto: quello di hoodlum? se è quello era una bella rubrica mi piacerebbe anche a me rileggerla
bravissimo era proprio quella!!!!!
:yeah:
speravo che qualche vecchio frequentatore del forum.. riuscisse in qualche modo a ritirarlo fuori!!
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tarriconeWHC
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05/07/2013, 16:48

trovato

“Non scrivo quel che segue per semplici motivi personali, perché cioè io creda che riversare tutto quello che ho dentro in queste righe costituisca la via per la mia guarigione interiore. Non lo faccio nemmeno per ricevere parole di incoraggiamento, consiglio o comprensione. Non è questo quel che cerco. Conosco la mia strada, e la sto percorrendo. Così come l’ho sempre percorsa.

Ho scritto dei miei passati problemi di alcolismo ben sapendo che ciò avrebbe suscitato tante chiacchiere, che sarei stato frainteso, criticato e messo alla berlina. Un grande fighter, un duro, tuttavia così debole ed emotivo.

Non mi importa: ho spalle grandi abbastanza per poter sopportare questo peso.

Scrivo questo – e sono pronto ad affrontare gli sfottò e le risa che ne deriveranno – nella speranza e nella convinzione che la mia storia possa significare qualcosa per altri che stanno là fuori.

È un messaggio sulla fragilità e al contempo sulla forza che ognuno di noi ha. È un messaggio di fiducia e di speranza. E se questo messaggio arriva al cuore anche di una sola persona, allora ne sarà valsa la pena.

Ci sono momenti nella vita di ognuno nei quali tutto ciò che un uomo è viene messo alla prova: la sua forza, il suo onore, gli elementi più intimamente costitutivi della sua persona, è tutto lì, in gioco. E sono i pensieri che ne attraversano la mente, le decisioni prese, le azioni compiute in quei particolarissimi momenti che definiscono un uomo, minuti e secondi in grado di modellarne il corso di vita.

La scorsa settimana ho affrontato uno di quei momenti, momenti che raramente intercorrono sul cammino della vita di un uomo. Nel corso di un’intervista, dichiarai che l’incontro che ho appena combattuto sarebbe stato il più importante di tutta la mia carriera. Lo è stato, ma forse non nel senso in cui molti pensano. Certo, sono estremamente dispiaciuto per il modo in cui la sconfitta è maturata, direi senza esitazione imbarazzato, nonché davvero a disagio per la consapevolezza di aver deluso così tante persone. Sento di aver messo in imbarazzo il mio allenatore, il mio Team e i suoi membri, tutti quelli che credevano in me e che mi sono stati al fianco. Provo dolore per non essere stato in grado di fare meglio per tutti loro. Ho perso l’incontro, e sono imbarazzato.

Ma ho vinto la guerra. Mi spiego.

Cinque mesi fa sono stato vicino alla fine, e pensavo davvero in cuor mio di essere prossimo alla fine dei miei giorni. Ero all’apice di 15 o più anni di grave alcolismo, ma non ho intenzione di scendere nei dettagli sulle ragioni per le quali la mia vita sia precipitata. Avevo perso tutto ciò per cui avevo lavorato duramente, tutto ciò che di buono c’era nella mia vita. Avevo perso il lavoro, la mia fidanzata, la splendida donna con la quale avevo diviso così tanti anni, quasi tutti i miei amici, buona parte di ciò che possedevo, il rispetto per me stesso e quello di coloro attorno a me. Ho perso quasi tutto. Sono stato ad un passo dal vivere sulla strada. L’anno scorso ho trovato ospitalità presso un amico, dormendo sul suo divano senza che vi fosse dove potessi andare.

Bevevo ormai da molti anni, fin da molto prima che il combattere professionisticamente mi avesse anche di lontano sfiorato la mente. Lo scorso anno e mezzo l’ho trascorso sono precipitato ancora più in basso, non facendo altro che bere e bere. Una birra o un cocktail in mano dal momento del risveglio fino a quello del collasso successivo. La salute se ne stava andando rapidamente, e non riuscivo nemmeno a star sveglio più di un paio ore per volta, senza più alcuna percezione del passare del tempo: mi svegliavo quando mi svegliavo, dormivo quando mi addormentavo, che fosse mattina, pomeriggio, sera, giorno o notte poco importava. Non riuscivo più a mangiare, con l’alcol che era riuscito a togliermi qualsiasi appetito impedendomi di trattenere anche quel poco cibo che riuscivo a ingurgitare. Ricordo tante di quelle circostanze in cui mi sforzavo davanti ad un piatto, pensando di aver raggiunto chissà quale meta se riuscivo a buttar giù a forza qualche boccone, e tutto solo per vomitarlo qualche minuto dopo. Ci sono state volte in cui ho trascorso giorni interi senza mangiare nulla, ma non riuscivo a non bere. Le ossa cominciavano a farmi male, braccia e gambe sempre indolenzite, i denti traballanti, gli occhi perennemente annebbiati.

Soffrivo di insufficienza renale da un anno e mezzo ormai, con un dolore sordo sempre lì, pulsante, e la risultate di un gonfiore persistente alla gambe dovuto alla ritenzione idrica. Mi faceva orrore guardare verso il basso e non riuscire a riconoscere le mie gambe, la carne flaccida e tumefatta.

Ma nulla di tutto ciò importava fintantoché avessi il mio drink e potessi così annebbiare l’ansia che montava, debilitante e crescente. Un’ansai così intensa che non so come potrei descriverla a parole. Mi svegliavo percosso da tremori e scatti, con il fiato che se ne andava e la sensazione che tutto nel mondo fosse ingiusto, che tutto quello che avevo fatto e avrei fatto in futuro era sbagliato, senza che ci fosse nulla che potessi fare per stare meglio, per dare un senso alle cose, sopraffatto dalla complessità di ciò che mi circondava. Solo dolore insopportabile e senso di vuoto. Svegliarsi, cercare la bottiglia che avevo tenuto in mano prima di poter trovare un momento di requie nel sonno: non la trovo. Andare verso il frigorifero, tremante e disorientato, prendere una birra, tenere lo sportello aperto e poi prendere la confezione da dodici e tornare sul divano. Cinque o sei birre e riuscivo a riprendere fiato. Tutto sarebbe andato meglio di lì in poi, almeno per un paio di ore, o almeno finché avessi una buona scorta. Un circolo vizioso, senza fine.

L’alcol si era portato via tutto quanto di buono ci fosse stato nella mia vita, ed ero conscio del fatto che mi stesse uccidendo, ma non riuscivo comunque a fermarmi. Ne ero dipendente.

Questo ero diventato. Questo ero fino a 5 mesi fa.

Un giorno mi sono deciso che avrei chiuso. Definii una data: il 10 ottobre 2007. Smisi quel giorno: di punto in bianco, senza tanti giri, senza cliniche riabilitative, senza farmaci per combattere la dipendenza né per lenire il dolore. E il dolore è stato tanto. È stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto in vita mia.

Ho messo in valigia quanto mi rimaneva e sono andato a Las Vegas per ricominciare da capo. Non avevo un posto dove stare e niente soldi, senza altri progetti se non quello di non bere. Sapevo solo di dover andare lì per trovare un modo per far sì che le cose funzionassero. Trascorsi le prime settimane dormendo sul pavimento della palestra di un amico, grato di avere un posto caldo. Da lì tutti i pezzi hanno cominciato ad andare al loro posto. Alcuni amici mi hanno dato una mano con il denaro e per trovare un appartamento. Parlai con l’UFC, che mi offrì un contratto. Sembrava quasi che dal momento in cui avevo deciso di smettere di bere la cattiva sorte si fosse messa alle spalle. Tutto cominciava a funzionare.

Iniziai ad allenarmi ad ottobre, inizialmente in modo molto blando. Non riuscivo quasi a muovermi: una settimana prima ero sempre lì sul punto di collassate. Dicono che la dipendenza da alcol sia tra le peggiori, con le possibili ricadute potenzialmente più gravi di tutte le altre, tanto da determinare il rischio di morte durante il periodo di disintossicazione. Ci sono stati momenti, all’inizio, in cui venivo colpito da crampi al petto e alle braccio sinistro, con il cuore che cominciava a martellare in modo sempre più irregolare. Ma avevo preso la mia decisione e intendevo rispettarla. Pensai che se fossi morto nel tentativo di farcela, allora amen, ma con il bere avevo chiuso. Ci sono stati momenti di terrore: così fragile come ero, iniziare ad allenarmi è stato davvero difficile. Dovevo iniziare pian piano: non volevo crollare in palestra o infortunarmi in modo permanente.

L’appetito cominciò a ritornare lentamente. Predisposi una dieta molto rigida, allenandomi ogni giorno e iniziando a sentirmi un pochino meglio ogni giorno che trascorreva.

Firmai quindi per il match all’UFC 82 e iniziai pertanto la preparazione specifica. Diedi quindi avvio al progetto del Team Tanner, lavorando nel contempo a molte altre idee. Tutto cominciava a incastrarsi nel modo giusto. E tutto sembrava andare ottimamente: l’alcolismo e la dipendenza da esso, tuttavia, erano ancora un ricordo fresco nella mia mente. Avevo smesso di bere, ma sapevo che il test vero sarebbe arrivato quando avrei dovuto affrontare la prima vera delusione. E avevo paura. Sapevo che sarebbe stato allora che mi sarei ritrovato in una condizione di assoluta debolezza, e che a quel punto una ricaduta nelle vecchie abitudini sarebbe stata dietro l’angolo.

L’incontro all’UFC 82 può a buon diritto essere considerato il più importante della mia carriera. Ero un ex campione del mondo che stava invecchiando e che cercava di ritornare sulla scena dopo tanti anni trascorsi dal ritiro, quando mi ero chiamato fuori proprio nel momento in cui questo sport stava evolvendo. Si è detto che ero troppo vecchio e che lo sport era arrivato troppo avanti rispetto a me. Si è detto che ero finito. Si è molto parlato di questo match, e soprattutto del fatto che esso comportava così tante cose che dovevano essere provate,…., ed è andata proprio così.

Dopo l’incontro mi sono seduto negli spogliatoi, io e il mio allenatore, da soli. Nessuna parola, nulla da dire, tutti e due a fissare il pavimento. Ho provato una insopportabile tristezza. Ce ne siamo stati lì seduti senza parlare, con le lacrime che mi riempivano gli occhi. Mi sono dovuto alzare e camminare da un’altra parte mentre mi rigavano il volto, perché non volevo tediare il mio coach con l’immagine di un uomo che piangeva. Erano le mie lacrime, solo mie.

Ero appena uscito dall’ottagono, dove ero stato faccia a faccia con uno dei migliori fighters del mondo, ma era lì, negli spogliatoi dietro alle quinte dopo il match, che stavo affrontando la mia più grande battaglia. Sarebbe stato molto facile riprendere la bottiglia in quel momento, decidere di tornare indietro. Avrei potuto pensare: “Ho provato con tutto me stesso, ho fatto tutto per bene, ed è questa la mia ricompensa?” Avrei potuto imprecare e tornare alla bottiglia. Perché la dipendenza era ancora fresca. Sarebbe stato facile. E il pensiero era lì, che mi tentava e mi accarezzava.

in quel momento, nel silenzio degli spogliatoi e di fronte alla delusione che montava, all’imbarazzo e alla terribile tristezza, ho affrontato i vecchi demoni. Ero a terra, quasi che ogni cosa mi fosse stata tolta. Volevo bere. Ho affrontato i vecchi demoni. E li ho sconfitti. Ho vinto la battaglia, e ho vinto la guerra. Non ho bevuto. E non lo farò. È stato il mio test più importante, l’unico che dovessi davvero fronteggiare prima di poter realmente andare avanti. L’ho superato.

Ora mi ritrovo qui, trionfante, con le gambe ben piantate, senza poter essere scosso.

La sconfitta all’UFC 82 è stata un passo indietro, e di questo sono davvero dispiaciuto, ma considerando da cosa ero appena uscito, il fatto di essere stato sul punto di crollare solo pochi mesi prima, di essere stato pressoché sulla strada, ho provato in cuor mio la grandezza dell’esser stato in grado anche solo di poter rimettere piede nell’ottagono. Ho affrontato le mie paure e la mia più grande debolezza, e ce l’ho fatta. Nonostante la sconfitta, mi sento benissimo e le motivazioni sono sempre alte. C’è ancora una cintura da vincere.

È tempo di tornare al lavoro ora. Non andrò da nessuna parte.

Comincio ad allenarmi questa settimana.

Evan”.
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