“Il PRIDE GP 2000 non ha solo rafforzato la leggenda del ‘Godfather of Ground ‘n’ Pound’ Mark Coleman, ma ha anche cambiato la faccia dello sport per sempre.”
la versione originale dell’articolo scritta da Mick Bower è pubblicata sul numero 76 di “Fighters Only Magazine (www.fightersonlymag.com)
I 40.000 spettatori del Tokyo Dome sono in visibilio. Mark Coleman salta sul ring ancora carico dell’adrenalina della vittoria. Vuole andare a salutare i fan, ma sbaglia a calcolare l’altezza delle corde del ring e così si ritrova catapultato sul ring atterrando sul suo sedere. Questo momento di comicità involontaria e trionfo fu il climax del PRIDE Grand Prix 2000, l’evento che più di altri ha cambiato la faccia delle MMA.
L’UFC a quel tempo aveva già “buttato nella spazzatura” la formula del torneo, ma il PRIDE la riportò in auge in grande stile, ponendo anche le basi per tornei futuri.
I migliori 16 fighters che il denaro poteva procurare si affrontarono per conquistare il premio di 200mila $ e il titolo di uomo più forte del pianeta.
Dopo il round preliminare del gennaio 2000, solo 8 erano rimasti per darsi battaglia in occasione delle finali del 1 maggio.
Su tutti spiccava un nome, quello di Royce Gracie, la cui famiglia a quel tempo era ancora la dominatrice indiscussa delle MMA. L’Ultimate Fighting Championship era stato messo in piedi da suo fratello Rorian per mettere in mostra “l’arte di famiglia” e Royce ha sconfitto qualsiasi avversario gli si fosse parato di fronte (a parte il pareggio con Ken Shamrock all’UFC 5). I Gracie rimanevano ancora imbattuti nelle competizioni di MMA, con anche Rickson assoluto dominatore delle prime edizioni del PRIDE e dei due tornei VALE TUDO JAPAN.
Il clan brasiliano era del tutto deciso a mantenere alta la loro reputazione e oltre ad un cospicuo assegno per “fornire i servigi” di Royce alla promotion nipponica, pretesero anche delle regole speciali per i suoi incontri che favorissero il suo stile attendista. Così, in un match senza limiti di tempo, Royce affrontò Kazushi Sakuraba.
Sakuraba era un allievo della scuola di catch wrestling di Billy Robinson con un grande amore per il pro-wrestling nipponico e tutto il suo carico di maschere e travestimenti.
90 minuti dopo l’inizio del match era diventato un eroe nazionale. L’estenuante incontro tra i due si concluse quando l’angolo del brasiliano gettò la spugna per salvare il proprio alfiere. L’invincibilità del Brazilian Jiu-Jitsu era stata finalmente messa in discussione. I Gracie erano finalmente tornati tra i mortali e, cosa ancora più importante per il PRIDE, a fare ciò era stato un fighter giapponese.
I fan nipponici videro finalmente che anche i fighter loro compatrioti erano in grado di battere i migliori e non vedevano l’ora che ciò accadesse di nuovo.
Anche prima della debacle di Royce il favorito per la vittoria finale era però l’americano Mark Kerr, fatto questo che destò un certo interesse nell’audience americana per questo torneo giapponese.
Uno degli alfieri di una nuova generazione di wrestlers, Kerr, proprio in quel periodo era anche seguito da una troupe di documentaristi (quelli che realizzarono il famoso “The Smashing Machine).
Nonostante il favore dei pronostici Kerr perse per decisione dopo una durissima battaglia contro un altro fighter nipponico, il coriaceo Kazuyuki Fujita.
A tenere alto l’onore degli U.S.A. era quindi rimasto solo un caro amico di Kerr, Mark Coleman.
L’allora 35enne aveva gareggiato alle olimpiadi e si era laureato come primo campione dei pesi massimi UFC, ma dopo una serie di pesanti sconfitte si pensava fosse ormai arrivato al capolinea. (All’epoca sarebbe stata pura fantascienza pensare che oggi, 10 anni dopo, Mark fosse ancora attivo come fighter).
La sua incredibile storia da underdog catturò l’immaginazione dei fans di tutto il mondo.
Dopo aver sconfitto Akira Shoji per decisione nei quarti, Coleman avrebbe dovuto affrontare in semifinale Kazuyuki Fujita, ma a causa delle conseguenze del durissimo incontro avuto con Kerr, il giapponese era pronto ad abbandonare la competizione.
In un momento preso direttamente da un film di Rocky, il documentario The Smashing Machine cattura uno scambio nel backstage tra Coleman e Kerr.
Il malconcio Kerr vede il suo amico seduto in disparte in attesa del prossimo incontro a gli dice: “Non si presenterà nel prossimo round. La vittoria è già tua Mark”. I due poi si abbracciarono e Kerr affondò la testa sulla spalla di Coleman.
Al contrario di quanto predetto da Kerr, Fujita si presentò sul ring. Il match con Coleman però durò solo 2 secondi, il tempo per l’angolo del giapponese di gettare la spugna e di consentirgli di guadagnare la borsa del match.
L’avversario della finale per Coleman fu Igor Vovchanchyn, un kickboxer ucraino con un impressionate record di 32 vittorie consecutive.
L’incontro fu l’emblema dello stato delle MMA a quel tempo. Coleman portò Igor a terra e lì lo tenne per tutti i 20 minuti del primo round. Durante questo tempo tentò di portare a segno diverse sottomissioni, ma l’ucraino fu sempre in grado di difendersi. Il Jiu-jitsu era ancora fondamentale, ma non garantiva più automaticamente la vittoria. Tutti i fighter stavano cominciando ad essere degli atleti completi in tutte le fasi della lotta sia a terra che in piedi, ma era ancora l’uomo con il miglior wrestling a determinare dove si sarebbe svolto l’incontro.
Coleman in questo non era secondo a nessuno e così il “Godfather of Ground’n’Pound” portò a terra il kickboxer e lì lo massacrò.
Il finale del match fu in puro stile PRIDE.
Quando la gente ricorda “i bei tempi andati” della promotion nipponica tende a focalizzarsi sulle entrate spettacolari e sui valori di produzione che erano a livelli irraggiungibili dall’UFC dell’era Pre-Zuffa, ma si dimenticano spesso di una cosa: la brutalità.
Negli Stati Uniti le MMA per uscire dal limbo in cui erano finite si stavano cominciando ad orientare su un approccio basato sul rigore e la rispettabilità data da regolamenti più “umani”. Proprio in quell’anno la New Jersey State Athletic Commission redasse le Unified Rules, dando un taglio agli “eccessi” della prima era dell’UFC.
Ma nella Terra del Sol Levante non esisteva tutta questa pressione “politica”.
Così Coleman usando le sue scarpette da wrestling come “solida base” tenne a terrà Vovchanchyn tempestandolo di ginocchiate in testa fino a quando non riuscì a sottometterlo.
Questa fu proprio quel genere di azione che ha reso il Giappone il punto di riferimento degli hardcore fans di MMA di tutto il mondo per molti anni.
Il PRIDE ha brillato per lungo tempo, fino allo scandalo Yakuza e alla successiva acquisizione da parte di ZUFFA.
Il GP 2000 fu l’ultima grande competizione open-weight (Il PRIDE OWGP 2006 appartiene già ad un’altra epoca), ma la formula del Grand Prix divenne uno dei marchi di fabbrica del PRIDE e vive ancora oggi nel torneo dei massimi organizzato dalla STRIKEFORCE.
Il PRIDEGP 2000 è stato l’originale ed il migliore, una vera e propria pietra miliare nella storia delle MMA moderne.
Link al video PRIDE GP 2000