Ti ritrovi stanco ad asciugare i capelli o a passare l’asciugamano sulla testa ancora calda. Quante volte hai sentito rinfacciarti questa sensazione che ora è palpabile sotto le dita. C’è un rumore di fondo, come di animali in gabbia che si sbattono per uscire, ma sai bene che non sono le zampe di un leone a scalpitare, ma il cuore di un tuo fratello che pulsa mentre è in leva, o che è costretto a battere la mano sul tappeto. C’è un’umidità estenuante dopo la doccia, la condensa diventa nebbia del passato e i ricordi pervadono la sensazione di benessere. Sei di nuovo come quando sei partito, hai ricominciato o sei solo a un passo dal traguardo. Forse nessuna di queste opzioni. Probabilmente stai solo vivendo mentre c’è chi sogna un futuro sul podio. E magari a te del podio neanche te ne frega niente. Quello che hai ti basta. Sei soddisfatto nel conquistare la serenità dei muscoli e il benessere mentale dopo un allenamento fatto di nervosismo e concentrazione, sudore e alienazione, fatto di te. E che sei una testa calda te lo ripete in continuazione tua madre. Lei che ti vede inseguire le lotte inutili, a dir suo, e il tuo sport da matto. Matto come l’amore che hai fuori la gabbia, con cui speri di condividere una vita, o che ti va bene solo per una sera. La sera dopo tra Te e i tuoi amici, le teste calde delle mille risate, delle serate davanti a uno schermo, perché se per qualcuno c’è il calcio, per altri c’è il sudore. Gli amici del “passami i guantoni”, del “resisti”, gli amici dal broncio leale e l’aiuto pronto, gli amici del timer da azionare, la finestra da aprire, il tatami da salutare. E via di corsa, mentre il tempo scorre e conti i respiri e anche l’affanno. Avessi evitato quella sigaretta. E un altro giro di corsa e il corpo s’assesta. Rilassamento. Le fasce iniziano ad avvolgerti le mani, una fasciatura stretta aderisce agli arti come la voglia di combattere. Un jab, un diretto, un ginocchio e poi dentro di nuovo, al volto con un gomito. Tecnica, passione, incoraggiamento a volte. Di nuovo, ripetizione di una figura che assume il tuo carattere, la tua velocità, i tempi adatti alla sigaretta in più, alla fine della giornata, all’inizio di un pomeriggio migliore. La fuori c’è il sole, ma se piove è lo stesso, il ginocchio non si placa, il respiro lo conosci, e impari a comprendere che ogni colpo scagliato è l’immagine di un pensiero e il contenuto della tabula rasa dalla quale parti per costruire il tuo essere atleta. C’è la dieta ad inseguirti, l’integratore sbagliato da sostituire, l’energia che l’alimentazione può darti, il sorso d’acqua che si fonde al fiato. Il respiro torna normale. Tempo. Tempo di pensare agli anni che ti hanno accompagnato dove sei. Al viaggio che t’ha dato più di tante parole, e al mito che hai dentro l’armadio, nel cuore e chissà in quale altro luogo. Un viaggio che t’ha lasciato i segni: visibili e interiori. L’esperienza data da una meta che hai scelto per rimpiazzare un programma andato male. Rientri con la mente in una palestra lontana, in un continente che non è il tuo ma nel quale ti sei sentito a casa, solo perché c’era un tatami ad aspettarti. Che sport da matto fai! L’eco nei ricordi fa delle parole la musica del corpo, e asseconda i dolori e il sangue che sgorga dal sopracciglio dopo un colpo non schivato. L’eco del sacco, del pao da colpire forte, del tappeto sul quale ti alzi e sul quale ti abbassi per riprendere l’azione, andare in ground and pound, finalizzare. Ieri eri stanco e oggi sei a mille. Domani un atleta migliore. Tanto il sopracciglio guarisce.